L’omelia di papa Francesco

Bergoglio nella sua omelia ha invitato a dire no alla “tentazione dell’efficientismo, del pensare che la Chiesa va bene se ha tutto sotto controllo, se vive senza scossoni, con l’agenda sempre in ordine”, alla “tentazione della casistica”. “Gesù non vuole che la Chiesa sia un modellino perfetto, che si compiace della propria organizzazione ed è capace di difendere il proprio buon nome”, ha spiegato Francesco: “Povere quelle Chiese particolari che si affannano tanto, nell’organizzazione, nei piani, nell’avere tutto chiaro, tutto distribuito!”, ha esclamato a braccio. “Gesù non ha vissuto così, ma in cammino, senza temere gli scossoni della vita”, ha proseguito: “Il Vangelo è il nostro programma di vita, dice tutto. Ci insegna che le questioni non si affrontano con la ricetta pronta e che la fede non è una tabella di marcia, ma una ‘via’ da percorrere insieme, sempre insieme, con spirito di fiducia”.

“Per il bene della missione, per annunciare a chiunque, in modo trasparente e credibile, che Dio è amore, anche quelle convinzioni e tradizioni umane che sono più di ostacolo che d’aiuto, possono e devono essere lasciate”, ha continuato papa Francesco, che ha esortato a scoprire “la bellezza della rinuncia, anzitutto a se stessi”, come hanno fatto i primi cristiani: quando “c’era in gioco l’identità religiosa, hanno scelto che l’annuncio del Signore viene prima e vale più di tutto”. “Dio purifica, semplifica, spesso fa crescere togliendo, non aggiungendo, come faremmo noi”… “la vera fede purifica dagli attaccamenti. Per seguire il Signore bisogna camminare spediti e per camminare spediti bisogna alleggerirsi, anche se costa”. “Come Chiesa, non siamo chiamati a compromessi aziendali, ma a slanci evangelici”, la ricetta del Papa: “E nel purificarci, nel riformarci dobbiamo evitare il gattopardismo, cioè il fingere di cambiare qualcosa perché in realtà non cambi nulla”. “Questo succede ad esempio quando, per cercare di stare al passo coi tempi, si trucca un po’ la superficie delle cose, ma è solo maquillage per sembrare giovani”, ha spiegato Francesco: “Il Signore non vuole aggiustamenti cosmetici, vuole la conversione del cuore, che passa attraverso la rinuncia. Uscire da sé è la riforma fondamentale”.
Francesco ha poi affrontato il tema dell’umiltà e dell’ascolto, citando l’esempio dei primi cristiani, che “sono giunti al coraggio della rinuncia partendo dall’umiltà dell’ascolto”. “Si diventa umili seguendo la via dell’ascolto, che trattiene dal volersi affermare, dal portare avanti risolutamente le proprie idee, dal ricercare consensi con ogni mezzo”, ha spiegato il Papa: “L’umiltà nasce quando, anziché parlare, si ascolta; quando si smette di stare al centro. Poi cresce attraverso le umiliazioni. È la strada del servizio umile, quella che ha percorso Gesù. È su questa strada di carità che lo Spirito scende e orienta”.
“Per chi vuole percorrere le vie della carità, l’umiltà e l’ascolto significano orecchio teso ai piccoli”, ha fatto notare Francesco: Barnaba e Paolo “erano gli ultimi arrivati, ma li lasciano riferire tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro”. Infine, l’ascolto della vita: “Paolo e Barnaba raccontano esperienze, non idee”. “La Chiesa fa discernimento così; non davanti al computer, ma davanti alla realtà delle persone”, ha affermato il Papa: “Persone prima dei programmi”.
“Dall’umiltà dell’ascolto al coraggio della rinuncia, tutto passa attraverso il carisma dell’insieme”. […] “E così la comunità si fonda sulla Parola di Dio e rimane nel suo amore”.

Da qui l’invito a “stare davanti al tabernacolo e davanti ai tanti tabernacoli viventi che sono i poveri”. “L’Eucaristia e i poveri, tabernacolo fisso e tabernacoli mobili: lì si rimane nell’amore e si assorbe la mentalità del Pane spezzato”. “Quando invece ci tratteniamo dal dare, quando al primo posto ci sono i nostri interessi da difendere – il monito del Papa – non imitiamo il come di Dio, non siamo una Chiesa libera e liberante. Gesù chiede di rimanere in Lui, non nelle nostre idee; di uscire dalla pretesa di controllare e gestire; ci chiede di fidarci dell’altro e di donarci all’altro”. “Chiediamo al Signore che ci liberi dall’efficientismo, dalla mondanità, dalla sottile tentazione di rendere culto a noi stessi e alla nostra bravura”, l’invocazione finale.

Avvenire,
Redazione Internet giovedì 23 maggio 2019
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